Colera, tutto quel che bisogna sapere sulla malattia

Il colera è una malattia acuta causata dal Vibrio cholerae, un batterio che produce un’enterotossina. Si trasmette principalmente tramite cibo o acqua contaminati, provocando diarrea e dolori addominali. Questo vibrione prospera nelle acque potabili per 7-14 giorni, nei fiumi per 1-2 giorni, ma è vulnerabile alle alte temperature. Ma quali sono i sintomi? Esistono delle cure? È possibile prevenirlo in qualche modo? Ecco la risposta a queste domande.

Colera, cause, sintomi e cure, tutto quello che bisogna sapere a riguardo

Il colera è una malattia infettiva acuta causata dal Vibrio cholerae, noto anche come vibrione del colera, un batterio Gram-negativo trasportato prevalentemente attraverso l’acqua e alimenti contaminati. Durante epidemie umane, soprattutto, sono coinvolti due sierogruppi del vibrione: l’O1 (il più diffuso globalmente) e l’O139 (riscontrato solo in alcune regioni dell’Asia).

Questo microrganismo, una volta ingerito, si insedia nell’intestino, rilasciando una tossina che si lega alle cellule dell’epitelio e produce un’azione tossica. Tale processo, attraverso una reazione fisiologica complessa, altera la capacità di assorbimento dell’acqua. Dopo diverse ore o giorni, nel 5-10% delle persone infettate si manifestano scariche di diarrea abbondante, accompagnate da vomito, veloce disidratazione e perdita di peso corporeo.

Provetta con sangue di una persona colpita dal colera
Immagine | Pixabay @ThomasFaull – Saluteweb.it

Il paziente colpito dal colera può perdere oltre un litro di feci liquide all’ora, spesso definite “acqua di riso” per il colore biancastro e l’odore caratteristico. La disidratazione può diventare così grave da causare anuria, crampi muscolari, ipovolemia e collasso cardiocircolatorio. Senza un trattamento appropriato, la morte può sopraggiungere entro poche ore.

Fortunatamente, nella maggior parte dei casi, l’infezione colerica si presenta in forma subclinica o come un episodio diarroico lieve e non complicato.

Ma quanto è diffuso oggi il colera? Il colera è endemico in molti Paesi africani e tropicali, spesso scatenando epidemie a causa del sovraffollamento e delle precarie condizioni igieniche. Nei Paesi in via di sviluppo, la minaccia è elevata a causa della limitata disponibilità di fonti d’acqua sicura e dei sistemi fognari inadeguati per lo smaltimento delle feci. Focolai e piccole epidemie di colera sono stati osservati anche in Paesi industrializzati.

Nel 2017, è stata avviata una strategia globale di controllo del colera denominata “Ending Cholera: a global roadmap to 2030”, mirante a ridurre del 90% le morti causate da questa malattia.

Durante il XIX secolo, il colera si diffuse in tutto il mondo attraverso sei pandemie successive, provocando milioni di decessi su ogni continente.

Attualmente, il colera è endemico in molte aree a rischio, con l’Africa al primo posto seguita dall’Asia, principalmente in India e Bangladesh. In Italia, l’ultima epidemia rilevante di colera risale al 1973 in Campania e Puglia, con un episodio di limitata entità a Bari nel 1994, che ha registrato meno di 10 casi.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), si stima che ogni anno nel mondo siano infettate da 3 a 5 milioni di persone, con circa 100.000-120.000 casi mortali.

Alcuni focolai sono stati documentati nell’Europa Orientale e in seguito al terremoto ad Haiti nel 2010.

Come avviene il contagio? Il colera è una malattia a trasmissione oro-fecale. L’acqua, agente principale, e gli alimenti, in particolare vegetali e molluschi come cozze e vongole, rappresentano i principali veicoli dell’infezione colerica. Questi possono essere contaminati direttamente o indirettamente dai residui fecali di individui malati, portatori sani o in fase di convalescenza.

In contesti igienico-sanitari precari i vibrioni del colera possono contaminare le risorse idriche destinate al consumo umano o all’irrigazione, causando la diffusione di agenti patogeni nei prodotti ortofrutticoli. Inoltre, questi vibrioni dimostrano una notevole resistenza nell’ambiente esterno e possono persistere nelle acque superficiali di ruscelli e fiumi; le falde contaminate possono raggiungere persino il mare. Di conseguenza, il pesce, i frutti di mare e altri prodotti ittici, se consumati crudi o poco cotti, diventano importanti veicoli di trasmissione. La diffusione della malattia è favorita da mosche e dalla manipolazione diretta di alimenti da parte di individui malati o portatori.

In zone endemiche, esistono rischi aggiuntivi come il consumo di bevande con ghiaccio o acqua imbottigliata senza adeguati controlli, così come il lavaggio di frutta, verdura e stoviglie con acqua contaminata. Anche le pratiche di igiene personale quotidiana possono esporre all’infezione.

Per tutti questi motivi, l’isolamento ospedaliero dei pazienti è estremamente cruciale e obbligatorio per legge.

Sintomi, cure e alcuni consigli utili

Quali sono i sintomi di questa malattia? Il colera può manifestarsi in forma subclinica, ovvero come un episodio diarroico leggero e non complicato, oppure come una malattia fulminante, potenzialmente letale. I sintomi iniziali includono scariche di diarrea abbondanti, accompagnate da vomito, veloce disidratazione e perdita di peso corporeo, senza solitamente manifestare nausea.

Le evacuazioni diarroiche avvengono senza dolore addominale e tenesmo rettale. Il paziente può eliminare oltre un litro di feci liquide all’ora, spesso descritte come “acqua di riso” per il loro colore biancastro e l’odore caratteristico.

La disidratazione si manifesta con intensa sete, oliguria (ridotta produzione di urine), crampi muscolari, debolezza, perdita evidente del turgore della pelle, occhi incavati e pelle raggrinzita. Il paziente può sperimentare ipotensione, tachicardia e tachipnea. Nei casi gravi, possono verificarsi anche emoconcentrazione (aumento della concentrazione ematica dovuto alla perdita di acqua), anuria (assenza di diuresi), acidosi metabolica ed ipokaliemia (deplezione di potassio).

In assenza di trattamento adeguato, si possono sviluppare ipovolemia e collasso cardiocircolatorio, accompagnati da cianosi e offuscamento dello stato di coscienza (stupor). Lo shock ipovolemico può portare a necrosi tubulare renale acuta, una condizione che può evolvere in insufficienza renale. La morte può sopraggiungere entro poche ore.

La diagnosi di colera è confermata attraverso la coprocoltura e successiva sierotipizzazione del patogeno.

Il periodo di incubazione del colera, durante il quale la persona è già infettata ma non manifesta ancora i sintomi, varia da poche ore a 5 giorni, ma i sintomi solitamente emergono entro 2-3 giorni.

Dato che la disidratazione rappresenta l’effetto più pericoloso del colera, la terapia consigliata dall’OMS si focalizza sull’uso di soluzioni per la reidratazione orale. Queste soluzioni aiutano a ristabilire gli equilibri di liquidi e sali minerali, riducendo il tasso di mortalità all’1%. Quando il paziente ha perso il 10% del proprio peso corporeo e mostra segni di sonnolenza e letargia, vengono introdotti fluidi tramite via endovenosa.

L’uso di antibiotici è riservato ai casi più gravi, con l’obiettivo di abbreviare la durata e limitare la diffusione della malattia. Tale approccio prevede l’impiego di dosi elevate di tetracicline, sulfadoxina e doxiciclina. La cautela nell’uso di questi farmaci è motivata dalla crescente resistenza antibiotica, che ha contribuito in passato all’emergere di ceppi batterici multiresistenti, caratterizzati da maggiore virulenza e aggressività.

Dal 1973 l’OMS ha decretato che la vaccinazione contro il colera non è più obbligatoria per i viaggiatori, basando tale decisione sulla constatazione che non è necessaria. Nello stesso anno, nell’Italia meridionale, si verificò un’epidemia di colera con 227 casi e 24 decessi in Campania, prevalentemente attribuiti al consumo di frutti di mare contaminati.

Il rischio di contrarre il colera durante i viaggi in Paesi a rischio è generalmente basso, poiché questa malattia è più comune nelle zone rurali meno sviluppate che di solito non rientrano nelle mete turistiche.

In caso di epidemia colerica, la profilassi si basa sull’uso di vaccini orali come il Dukoral.

Prima di recarsi in aree a rischio epidemico, è consigliabile consultare un medico, ad esempio presso il Centro di Medicina dei Viaggi della ASL più vicina, per ottenere informazioni personalizzate.

Esiste una forma di prevenzione? Per prevenire il colera in aree a rischio, è consigliabile verificare l’origine dell’acqua destinata al consumo (preferibilmente utilizzando acqua imbottigliata o bollita) e mantenere una rigorosa igiene personale.

La prevenzione del colera include il consumo di cibi ben cotti, con particolare attenzione a molluschi e verdure crude, e la protezione della pelle dai contatti con insetti portatori di vibrioni del colera sugli alimenti.

Per chi viaggia in zone colpite dal colera, è consigliato:

– Bere solo acqua imbottigliata, bollita o trattata con cloro o iodio;

– Evitare il consumo di ghiaccio a meno che non si sia certi della sua provenienza sicura;

– Consumare solo cibi accuratamente cotti e serviti caldi;

– Evitare crostacei, molluschi e pesce crudo o poco cotto;

– Proteggere gli alimenti da insetti mediante reti o contenitori appositi; refrigerare immediatamente i cibi non consumati;

– Evitare il consumo di verdure e frutta crude;

– Preferire prodotti sottoposti a trattamenti adeguati per garantirne l’innocuità (come il latte pastorizzato o trattato termicamente);

– Evitare l’acquisto di cibo da venditori ambulanti e evitare locali con evidenti carenze igieniche;

– Lavare sempre accuratamente le mani prima di preparare o consumare cibi e dopo essere stati in bagno.

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