Il tumore della tiroide: cos’è, sintomi e cure

Il tumore della tiroide è il secondo tumore più frequente per le donne di età inferiore ai 50 anni. Ha origine dalla trasformazione delle cellule di una ghiandola, la tiroide, posta nel collo appena sotto la cartilagine tiroidea (il cosiddetto pomo d’Adamo). La tiroide ha la forma di una farfalla con le due ali ai lati della laringe. Le due ali costituiscono i lobi della tiroide, mentre la parte centrale che le congiunge è detta istmo. Ma cosa è la tiroide? È una ghiandola endocrina che produce gli ormoni tiroidei che rilascia nel circolo sanguigno. Ci sono casi nei quali la tiroide può funzionare più del normale (ipertiroidismo, con aumento degli ormoni) o meno del normale (ipotiroidismo, con bassi livelli di ormoni) e in entrambi i casi si possono avere disturbi importanti. Data una linea generale sulla ghiandola endocrina, si può entrare nel dettaglio. Dati alla mano, il tumore della tiroide è abbastanza diffuso: rappresenta il 3-4 per cento di tutti i tumori umani. Colpisce soprattutto le donne tra i 40 e i 60 anni ed è uno dei tumori più frequenti nelle donne in questa fascia d’età.

Operazione chirurgica
Operazione chirurgica | pixabay @marionbrun

Chi è a rischio

Tra i fattori di rischio c’è la carenza di iodio che causa il gozzo, un aumento di volume della tiroide, spesso caratterizzato da numerosi noduli benigni della ghiandola. Il gozzo può predisporre alla trasformazione maligna delle cellule. Un altro fattore di rischio accertato è l’esposizione a radiazioni ionizzanti: il tumore della tiroide è più comune in persone che sono state trattate per diversi motivi con radioterapia sul collo oppure che sono state esposte a ricadute di materiale radioattivo. Infine, è un fattore di rischio per questi tumori avere un parente stretto che lo ha avuto. Oggi, infatti, si conosce il gene alterato alla base di questa patologia, l’oncogene RET, e la sua mutazione viene trasmessa da genitori ai figli. Esistono diverse tipologie di tumori alla tiroide: il più frequente è la forma ben differenziata (papillare e follicolare) che rappresenta l’85-90 per cento dei casi, a cui si aggiungono la forma scarsamente differenziata (5-7 per cento), la forma midollare (5-7 per cento) e la forma indifferenziata o anaplastica (2-3 per cento). La sopravvivenza è molto elevata nelle forme ben differenziate (oltre il 90 per cento dei pazienti è vivo a 10-15 anni dalla diagnosi, se vengono seguite le cure adeguate).

I sintomi

Il segno più comune del tumore della tiroide è un nodulo isolato all’interno della ghiandola, che si sente con le dita se si tocca il collo in corrispondenza dell’organo. Non tutti i noduli tiroidei nascondono, però, forme di cancro. Inoltre, la funzione tiroidea non è quasi mai alterata dalla presenza dei noduli, siano essi benigni o maligni, e spesso il paziente non ha alcun disturbo specifico. In questi casi, qual è la diagnosi? Una volta individuato un nodulo, il medico prescrive esami ematici per misurare gli ormoni tiroidei nel sangue (FT3 e FT4) e il TSH, per accertare il funzionamento della tiroide. L’eventuale modificazione patologica dei livelli ormonali in genere è indice di una patologia di tipo infiammatorio o autoimmune più che tumorale. Gli ormoni aumentati possono essere a volte il segno di un tumore benigno iperfunzionante (adenoma tossico), facile da curare. Oggi l’esame più semplice e specifico per studiare la tiroide è l’ecografia. La medicina ha fatto passi da gigante nel corso dei decenni e oggi si conoscono le caratteristiche ecografiche dei noduli più a rischio di malignità (noduli “sospetti” all’ecografia). In questo caso è consigliato eseguire un esame citologico (agoaspirato).

Analisi biochimica
Analisi biochimica | pixabay @kkolosov

Le cure

Per la cura del tumore della tiroide, la chirurgia è il trattamento di prima scelta. In genere si preferisce asportare tutta la ghiandola (tiroidectomia). Tuttavia, un piccolo carcinoma papillare o follicolare della tiroide può essere curato con un intervento conservativo di lobectomia, cioè l’asportazione del solo lato coinvolto, in particolare se l’altro lobo risulta essere perfettamente normale all’esame ecografico. Dopo l’intervento di tiroidectomia devono essere somministrati ormoni tiroidei in sostituzione di quelli che la ghiandola non può più produrre. I linfonodi coinvolti vengono asportati. La seconda fase di trattamento consiste nel somministrare iodio radioattivo, a completamento delle procedure terapeutiche chirurgiche (ablazione del residuo postchirurgico). La chemioterapia classica è ormai pressoché in disuso ed è sostanzialmente sostituita dalle nuove terapie a bersaglio molecolare.

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