Molti consumatori pensano che i prodotti light e zero grassi siano sempre la scelta più salutare, ma spesso dietro queste scritte si nascondono strategie di marketing e dettagli nutrizionali poco chiari.
I prodotti con diciture come “light”, “senza grassi” o “a basso contenuto calorico” sono diventati comuni sugli scaffali dei supermercati. Molti li scelgono pensando di fare un acquisto utile per la linea e per la salute, ma la realtà è più complessa. La riduzione calorica non significa automaticamente che il prodotto sia migliore: spesso, per compensare l’assenza di grassi o zuccheri, vengono introdotti additivi, dolcificanti e altre sostanze che possono modificare il profilo nutrizionale.
Cosa indica davvero la scritta light
Per legge, un alimento può essere definito light solo se ha almeno il 30% di calorie in meno rispetto alla versione classica. Questo taglio può riguardare sia i grassi che gli zuccheri, ma non sempre è specificato chiaramente. Ecco perché leggere attentamente l’etichetta diventa fondamentale. Prendiamo un esempio comune: una maionese tradizionale ha circa 90-100 kcal per cucchiaio, mentre la versione light ne dichiara circa la metà. Il problema è che la riduzione dei grassi, responsabili della cremosità e del gusto, viene spesso bilanciata con altri ingredienti. Tra questi compaiono amidi modificati, gelificanti, emulsionanti e dolcificanti che mantengono consistenza e sapore, ma rendono la lista degli ingredienti molto più lunga.

Il maggiore contenuto d’acqua di questi prodotti può renderli anche più fragili dal punto di vista microbiologico. Per questo le aziende aggiungono conservanti in grado di prolungare la durata, ridurre il rischio di contaminazioni e mantenere il prodotto stabile sugli scaffali. Non è raro trovare aromi artificiali che cercano di ricreare la pienezza del sapore originale, persa con la riduzione dei grassi. Molti studi hanno evidenziato un paradosso: chi consuma alimenti light tende a mangiarne di più rispetto alla versione classica. La convinzione che “facciano meno male” porta a eccedere nelle quantità, con un risultato finale che spesso annulla il vantaggio calorico dichiarato.
Zero grassi e marketing nascosto
La dicitura “zero grassi” ha un impatto ancora più forte sul consumatore. Secondo la normativa, un alimento può riportarla solo se il contenuto lipidico è inferiore allo 0,5%. Ciò non significa che il prodotto sia completamente privo di grassi, né che sia automaticamente ipocalorico. Un caso emblematico riguarda alimenti che sono già naturalmente privi di grassi, come il miele. Trovare su un vasetto la scritta “senza grassi” non aggiunge nessuna informazione utile: è solo un modo per attirare l’occhio dell’acquirente, facendo sembrare un pregio qualcosa che in realtà è una caratteristica naturale.
In altri casi, la riduzione dei grassi porta a un incremento di zuccheri o di sale, inseriti per mantenere il gusto. Così, un biscotto “senza grassi” può contenere quantità elevate di zuccheri, con effetti tutt’altro che positivi sulla salute. Alcuni prodotti riportano la scritta “zero” perché non apportano calorie, ma questo non significa che siano del tutto privi di nutrienti indesiderati. Un altro aspetto da considerare è che i grassi buoni, come quelli presenti in olio extravergine d’oliva o in frutta secca, hanno un ruolo essenziale: servono per assorbire vitamine liposolubili come la A, D, E e K. Eliminare del tutto i grassi dalla dieta, sostituendoli con alimenti artificialmente “senza grassi”, può quindi avere effetti negativi sul metabolismo e sull’equilibrio nutrizionale.
Molti nutrizionisti sottolineano che non bisogna lasciarsi ingannare dall’etichetta. Una dieta equilibrata, con alimenti freschi e poco trasformati, resta sempre la strada più efficace per controllare il peso e tutelare la salute. I prodotti light o zero grassi possono essere utili in alcuni casi specifici, ad esempio in chi deve ridurre lo zucchero per motivi clinici come il diabete, ma non rappresentano una soluzione universale.