Un recente studio ha identificato un disturbo comportamentale che può anticipare il calo di memoria nei mesi che precedono l’Alzheimer.
L’Alzheimer è la forma più comune di demenza neurodegenerativa, ma ciò che ancora sorprende la comunità scientifica è la sua manifestazione iniziale. Per anni si è creduto che il primo segno fosse legato alla memoria, soprattutto a quella a breve termine. Ora, una serie di osservazioni cliniche suggerisce che i primi cambiamenti compaiono mesi, se non anni prima, sotto forma di sintomi comportamentali, spesso sottovalutati.
Uno studio pubblicato dalla University of California ha evidenziato che molti pazienti sviluppano alterazioni della percezione emotiva e sociale prima ancora che emergano difficoltà evidenti nel ricordare eventi recenti. La diagnosi precoce, oggi più che mai, diventa fondamentale per avviare terapie che possano rallentare la progressione del deterioramento cognitivo.
Cambiamenti emotivi e calo dell’empatia: i veri campanelli d’allarme
Chi vive accanto a una persona che si avvia verso una forma iniziale di Alzheimer potrebbe notare reazioni insolite, distacco emotivo o rabbia immotivata molto prima delle classiche dimenticanze. Non è raro che questi sintomi vengano confusi con depressione, stress o invecchiamento normale. Eppure, in alcuni casi, rappresentano la vera prima fase preclinica della malattia.

Secondo quanto riportato dai neurologi del Mount Sinai Hospital di New York, uno dei segnali più comuni nei mesi che precedono la diagnosi è una diminuzione della risposta empatica: il paziente mostra meno partecipazione emotiva, reagisce con freddezza o indifferenza a eventi che prima lo coinvolgevano. Questo cambiamento, spiegano gli esperti, sarebbe dovuto a un’alterazione delle aree frontali e limbiche del cervello, coinvolte nella gestione delle emozioni.
Un altro sintomo precoce è la perdita di controllo dell’impulsività. Episodi di frustrazione improvvisa, irritazione per motivi futili o gesti fuori luogo in contesti sociali potrebbero indicare un iniziale danno alle connessioni neuronali che regolano il comportamento. In alcuni pazienti, emerge anche una certa ripetitività nei discorsi, ma non per difficoltà di memoria, quanto per una rigidità mentale crescente.
Chi si occupa di un familiare anziano potrebbe quindi trovarsi davanti a cambiamenti che sembrano caratteriali ma sono, di fatto, neurologici. L’invito degli specialisti è a non ignorare questi segnali, soprattutto se si manifestano in soggetti sopra i 60 anni senza precedenti clinici legati all’umore.
Il ruolo della diagnosi precoce e delle nuove linee guida
La diagnosi precoce dell’Alzheimer non si basa più solo su test di memoria. Le nuove linee guida internazionali includono una valutazione approfondita del comportamento sociale, dell’umore e delle abilità relazionali. In alcuni casi, viene richiesto un supporto da parte di psicologi o neuropsicologi che lavorano in tandem con neurologi per rilevare segnali iniziali non sempre evidenti agli esami standard.
Un recente protocollo sperimentale, adottato in alcuni centri italiani tra cui l’Istituto Carlo Besta di Milano, prevede un monitoraggio comportamentale domiciliare attraverso interviste ai familiari e questionari settimanali. Questo approccio ha permesso, in diversi casi, di individuare forme iniziali di decadimento cognitivo fino a 12 mesi prima della comparsa delle prime difficoltà mnemoniche.
Il Ministero della Salute ha confermato l’importanza di integrare le osservazioni familiari nei percorsi di valutazione, soprattutto quando i sintomi non sono ancora quantificabili con i test cognitivi tradizionali. Il rischio, infatti, è che il tempo utile per intervenire venga perso proprio perché il problema non viene riconosciuto come tale.
Nell’attuale panorama diagnostico, esistono anche strumenti innovativi come la PET amiloide, che consente di individuare le placche beta-amiloidi nel cervello prima che compaiano i sintomi tipici. Ma l’accesso a queste tecnologie non è ancora universale, perciò resta centrale il ruolo dei caregiver nel riconoscere segnali comportamentali atipici.
Le ricerche più recenti hanno mostrato che, se diagnosticata nella fase preclinica, la malattia può essere gestita con maggiore efficacia, anche grazie a interventi farmacologici e terapeutici combinati. Le strategie non si limitano più al trattamento farmacologico ma includono esercizi cognitivi mirati, dieta antinfiammatoria, controllo dei fattori cardiovascolari e attività fisica regolare.
L’Alzheimer non inizia all’improvviso. Spesso manda segnali lievi, nascosti tra le pieghe dei comportamenti quotidiani. Imparare a riconoscerli, anche quando non coinvolgono direttamente la memoria, è il primo passo per agire in tempo.