Un’indagine della SIMEU ci mostra una situazione drammatica nei pronto soccorsi italiani: carenze di medici in tutta Italia
Allarme carenza di medici nei pronto soccorso italiani: la situazione, già critica, continua a peggiorare, mettendo a dura prova il sistema sanitario nazionale. Gli ultimi dati e le analisi delle società scientifiche di settore confermano un quadro drammatico che interessa l’intero territorio nazionale.
Secondo una recente indagine condotta da SIMEU (Società Italiana di Medicina d’Emergenza-Urgenza) su 153 strutture distribuite in tutta Italia, mancano oltre 3.500 medici nei pronto soccorso, corrispondenti a un organico scoperto di circa il 38%. La situazione è particolarmente critica nelle strutture periferiche e nei Dea (Dipartimenti di Emergenza e Accettazione) di primo livello, dove la carenza supera il 43%, e nei pronto soccorso più piccoli dove supera il 55%. Nel complesso, circa il 17% dei medici necessari è totalmente assente senza alcuna sostituzione contrattuale, pari a circa 550 unità.
A questo si aggiunge il fenomeno del boarding, ovvero la permanenza prolungata dei pazienti in pronto soccorso in attesa del trasferimento in reparto, che assorbe fino al 40% delle risorse interne, aggravando ulteriormente il carico di lavoro. Le conseguenze si traducono in tempi di attesa insostenibili, con pazienti che spesso trascorrono più di sei ore (fino a otto) nei reparti, soprattutto per codici di bassa urgenza (bianco e verde).
La situazione è particolarmente drammatica in regioni come il Veneto, dove ne manca un medico su tre e i tempi medi di attesa per un codice bianco si aggirano sulle tre ore e mezza, con picchi ben più alti. Il direttore generale dell’Usl 3, Edgardo Contato, spiega come trovare specialisti sia diventata un’impresa, con concorsi regionali che vedono un’affluenza estremamente bassa. Il personale esistente regge “solo grazie a una forte vocazione e rispetto per i malati” nonostante le frequenti minacce e i carichi di lavoro sempre più insostenibili.
Per far fronte a questa emergenza, alcune realtà, come l’Usl 3 Venezia, stanno sperimentando soluzioni innovative quali l’inserimento di specializzandi per la gestione dei codici a bassa complessità e l’attribuzione di maggiori responsabilità agli infermieri, che si occupano già di una prima valutazione e presa in carico dei pazienti non gravi.
Il sistema tiene solo grazie alla dedizione degli operatori, ma il rischio di collasso è reale. In un comunicato stampa del giugno 2025, la SIMEDET (Società Italiana di Medicina Diagnostica e Terapeutica) denuncia come la carenza di personale, non solo nei pronto soccorso ma anche nei reparti di anestesia e rianimazione, stia superando i limiti della sostenibilità, con turni massacranti e rinuncia ai riposi per medici e infermieri.
Le proposte avanzate includono:
– Assunzioni rapide e stabili di personale sanitario;
– Incentivi economici e professionali per chi lavora nelle aree critiche;
– Riorganizzazione della rete dell’emergenza-urgenza con rafforzamento degli ospedali di base e potenziamento della telemedicina;
– Maggiore tutela psico-fisica degli operatori;
– Creazione di una rete formativa nazionale per l’emergenza-urgenza, in collaborazione con le università.
Il modello attuale, che spesso si affida a medici “a gettone”, è giudicato insostenibile: serve stabilità e una visione organica per garantire continuità e qualità delle cure nei pronto soccorso italiani.
Il pronto soccorso, struttura chiave dell’emergenza-urgenza, funziona attraverso un sistema di triage che assegna priorità di intervento basate sulla gravità clinica. La complessità crescente e la mancanza di personale rischiano però di compromettere questa funzione fondamentale, con ripercussioni pesanti sui tempi di attesa e sulla sicurezza dei pazienti.
Negli ultimi anni, grazie anche all’implementazione di unità di Osservazione Breve Intensiva (OBI), si è cercato di ridurre i ricoveri impropri, ma la carenza di medici e infermieri continua a generare lunghe permanenze in pronto soccorso e rallentamenti nel percorso di cura.
Sono necessari interventi strutturali per garantire un servizio efficiente, equo e capillare su tutto il territorio nazionale, soprattutto nelle aree periferiche e interne, dove la difficoltà di attrarre personale qualificato è più accentuata.
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